
É NECESSARIO IDENTIFICARE UN PERCORSO MEDICO LEGALE CHE VALUTI INTEGRALMENTE LA REALE GRAVITÀ DELLA LESIONE AL BENE SALUTE GARANTENDO UNIFORMITÀ ED EQUITÀ NEL CONTESTO TABELLARE.
Dr. Enrico Pedoja
Spec. Medicina Legale
Le future esigenze applicative della TUN in materia di danno non patrimoniale, insieme ai recenti orientamenti della Cassazione sull’effettivo valore probatorio della valutazione medico-legale relativa alla “riduzione della capacità lavorativa specifica”, impongono agli specialisti una riflessione approfondita sul concreto significato tecnico e sulla “valenza applicativa” del parametro della “invalidità permanente” (IP) ai fini risarcitori.
Ripercorrendo la storia delle metodologie utilizzate, dalle note Tabelle di Como e Perugia degli anni ’60 fino ai più recenti Barèmes medico-legali, incluse le linee guida Simla, la procedura medico-legale mirata a stabilire il grado di invalidità permanente si è sempre basata su un processo accertativo clinico-strumentale ripetibile. Questo processo consente di definire esclusivamente indicatori quantitativi in relazione a variabili di disfunzionalità precostituite.
Nonostante negli anni si sia evoluto il rapporto causale tra il parametro dell’invalidità e l’effetto previsto ai fini risarcitori (dal danno alla capacità lavorativa generica al danno biologico), la metodologia valutativa è rimasta sostanzialmente immutata. Questo perché le variabili di IP calcolate dal medico legale si basano su riscontri clinici e strumentali oggettivi che derivano da convenzioni proporzionali al valore massimo previsto per la “perdita di un determinato organo o apparato”, oppure da variabili clinico-strumentali legate a specifiche patologie. In entrambi i casi, il riferimento è sempre al valore funzionale biologico dell’essere umano. Il passaggio concettuale dall’incidenza sulla capacità lavorativa generica al danno biologico ha rappresentato un primo passo di razionalizzazione tecnica.
Tuttavia, la questione applicativa ai fini risarcitori è rimasta sostanzialmente invariata. Ci troviamo, quindi, in una situazione di limbo interpretativo che ha inevitabilmente condizionato la conseguente logica risarcitoria. Su questa logica si fondano sia i principi giuridici sia le norme previste dagli articoli 139 e 138 del Codice delle Assicurazioni. Il problema principale è: come integrare il parametro della disfunzionalità derivante da una determinata condizione menomativa (causa) rispetto agli effetti attesi?
Questo interrogativo assume rilevanza sia per il danno non patrimoniale, che include le ricadute sugli atti della vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali comuni, sia per la valutazione medico-legale della riduzione del potenziale lavorativo e reddituale del danneggiato. Quest’ultimo aspetto presenta molteplici variabili, tra cui età, preparazione ed esperienza professionale, condizione di emendabilità e capacità adattive.
Nell’ambito della TUN, lasciando da parte gli aspetti tecnici relativi alla riduzione del potenziale reddituale del danneggiato, la questione diventa sostanziale. Il parametro della IP si inserisce ora all’interno di un contesto tabellare di liquidazione che comprende due distinti elementi: la percentuale di disfunzionalità anatomo-psichica e il danno morale. Tuttavia, la parametrizzazione del danno morale risulta oggi complessa da definire, anche alla luce degli incerti e a volte contraddittori presupposti giuridici e probatori offerti dalla Cassazione in merito alla sua definizione risarcitoria.
Nel nuovo sistema tabellare, la componente risarcitoria relativa al “danno morale” diventa, di fatto, esclusivamente una variabile dell’invalidità permanente. Questa impostazione supera quell’automatismo anomalo che caratterizzava il sistema delle Tabelle di Milano, dove il rapporto tra invalidità permanente (IP) e danno morale si basava sull’errato presupposto che l’invalidità permanente fosse un “indicatore automatico” dell’entità del danno al bene salute derivante da una specifica menomazione anatomo-psichica.
Tale presunzione non teneva conto che, a parità di percentuale di invalidità permanente e indipendentemente dalle caratteristiche individuali del danneggiato, esistono spesso differenze significative negli effetti concreti della disfunzionalità sulla vita quotidiana e sulle relazioni dinamiche. Il sistema precedente era viziato da un “automatismo liquidativo” basato su un equivoco medico-giuridico che la stessa Medicina Legale non ha mai chiarito adeguatamente. Mancava un’analisi dettagliata e coerente delle modalità, dell’intensità e delle circostanze in cui una determinata menomazione permanente potesse influire realmente sugli atti quotidiani e sugli aspetti dinamico-relazionali di una persona, rappresentando di fatto il “peccato originale”.
Non si è mai realmente definito con il giurista l’assenza dell’automatismo compensativo tra invalidità permanente e danno biologico. Con l’introduzione del nuovo sistema tabellare della TUN (Tabella Unica Nazionale), si pone ora un interrogativo centrale: se il “danno morale” mantiene una connessione risarcitoria essenziale con l’IP, come si possono acquisire elementi probatori che rendano la valutazione della lesione al bene salute più oggettiva, uniforme ed equa?
La risposta risiede in una rivoluzione metodologica medico-legale che ridefinisca il concetto di danno biologico in modo da fornire agli operatori tutti gli strumenti necessari per interpretare le diverse variabili risarcitorie. Queste includono sia il parametro quantitativo legato alla disfunzionalità (IP) sia il parametro qualitativo rappresentato dalla sofferenza correlata, che costituisce la componente “esistenziale”, influenzata non solo dai riflessi sul “fare”, ma anche sul “sentire” del danneggiato, con un’attenzione particolare alle variabili di sesso ed età, ma indipendentemente dagli aspetti specifici e peculiari della persona.
Le basi medico-legali per la definizione della componente qualitativa hanno trovato spazio nella letteratura scientifica italiana e si stanno consolidando grazie a miglioramenti metodologici, tra cui l’approccio “a doppio binario valutativo”. Questo modello trae forza dalla vasta esperienza maturata nel settore assicurativo-forense, sia in ambiti extragiudiziali che giudiziari.
Per chi subisce un danno o per i debitori che devono stimare le “previsioni di danno” o le cosiddette “riserve”, il problema principale è la carenza di strumenti tecnici per delineare in modo chiaro e distinto le componenti risarcitorie senza dover ricorrere costantemente alla valutazione del giudice. Diventa quindi essenziale identificare un percorso tecnico che integri concretamente i principi giuridici risarcitori con l’effettiva gravità della lesione al bene salute, garantendo uniformità ed equità nel contesto tabellare.
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MEDICO CHIRURGO (tutte le Discipline) – ODONTOIATRA
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